
Il pomeriggio di quel lontano inverno, in cui promisi a me stesso che non avrei mai più lavorato come venditore, lo ricordo come fosse ieri.
Una promessa che mi lasciò un sapore forte e deciso in bocca, che mi fece sentire maturo e indipendente.
Fu uno di quei pomeriggi che ti fanno tornare a casa carico di stimoli e di nuove idee. Spesso le idee, quando non vengono alimentate nella giusta maniera, rischiano di rimanere, appunto, soltanto idee. Ma, per fortuna, alle idee di quel pomeriggio – che adesso considero come uno dei momenti salienti della mia vita – sono seguiti anche i fatti. È grazie a quelle idee che adesso sono qua: ancora una volta accompagnato dal suono della tastiera (e, forse, anche da un calice di vino), ancora una volta a fare qualcosa solo perché mi va di farlo.
Dicevamo? Ah, sì: mi ero promesso che non avrei più lavorato come venditore. La cosa buffa è che adesso, soprattutto in queste ultime settimane, il mio lavoro è quello di muovermi tra locali, enoteche e ristoranti (quelli che, secondo il mio modesto parere, sono i più adatti ad accogliere i prodotti della mia azienda) col proposito di trasformarli in possibili acquirenti.
Sono, ancora una volta, l’incarnazione perfetta di quello che si definirebbe un venditore.
Ma, adesso, quello che porto a casa con me dopo un appuntamento vale molto più di un contratto strappato all’ultimo secondo. Oggi, ad esempio, mi sono portato via le lacrime d’emozione di Marcella: chef e proprietaria, insieme a Marco, di un piccolo locale nel cuore della Toscana che trasuda passione ed entusiasmo.
Ho raccontato la mia storia, quella delle etichette ispirate ai nonni, quella dei sogni che mi hanno condotto fino al loro ristorante, e nel farlo non ho badato a censure. Alzando lo sguardo – dopo, lo ammetto, un monologo infinito – mi sono accorto che Marcella aveva gli occhi lucidi, carichi di lacrime, e che Marco aveva chiamato anche loro figlio ad assistere alla mia testimonianza.
Da quel momento in poi si sono aperte le porte per un dialogo trasparente e puro, grazie al quale ho compreso la dedizione che, anche Marco e Marcella, proprio come me, mettono nel loro mestiere.
Queste giornate sono quelle che mi danno motivazione e carica, che mi fanno sentire di essere sulla giusta strada, nonostante tutto e nonostante le difficoltà. Mi sono sentito spronato, è come se qualcuno mi avesse abbracciato per sussurrarmi all’orecchio un bramatissimo “continua così”.
Nella via del ritorno, quella verso casa, ero carico di stimoli e di emozioni intense. Stringevo forte il volante, forse superavo di poco il limite di velocità… ero sereno.
Spesso crediamo di star facendo soltanto “il nostro lavoro”, quando in realtà siamo i custodi gelosi di storie ed emozioni, quando in fondo possediamo chiavi che riescono ad aprire porte inaspettate.
E, quindi: raccontiamole queste storie, apriamole queste porte!